Vendere senza vendere

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Vendere senza vendere



Come avevamo già detto in altre occasioni, ci sono principalmente due modi per fare advertising: il primo è lo stile diretto (“compra il nuovo Samsung S22; prenota il nuovo Iphone 14”) che punta ad imporre l’acquisto di un prodotto attraverso uno slogan.

Dalla sua ha l’efficacia della semplicità: si dice chiaramente e senza alcun tipo di filtro che ciò che si vuole vendere è moderno, bello, efficace, che sarebbe una follia non comprarlo quando si ha la fortuna di essere nati in un periodo in cui esiste una tale meraviglia.

Il secondo modo invece è basato sulla suggestione, sul suggerimento, o su quella che per scomodare l’antropologo e sociologo Marcel Mauss potremmo definire come “imitazione”.

In questo caso non si vuole vendere un prodotto dicendo: “Compralo!” ma lavorando maggiormente di fino sull’influenza piscologica. È il cliente stesso che decide in modo autonomo di comprare qualcosa, addirittura senza che il venditore abbia mai fatto nulla direttamente per indurlo a tale decisione.

Come si ottiene un risultato che a conti fatti pare quasi miracoloso: vendere senza neppure scomodarsi a farlo? Attraverso un contesto che porti il nostro futuro cliente a desiderare quell’oggetto che stiamo promuovendo, sfruttando appunto la suggestione o l’imitazione.

La suggestione è un sistema basato sul collegare degli elementi, a tratti molto diversi, perché diano vita ad un particolare contesto: ne sono classico esempio quelle pubblicità dei biscotti (Gocciole, Pan di Stelle) di cui Mulino Bianco e Pavesi sono specializzate, piuttosto che gli advertising sui sughi con cui condire la pasta, di cui la Barilla è maestra, in cui i prodotti sono accostati a famiglie felici, mattine che incominciano col piede giusto, addirittura a riconciliazioni e buoni sentimenti.

Come dimenticare le pubblicità dei Sofficini con il camaleonte Carletto o i bastoncini di Capitan Findus? In questi casi l’alimento è quasi un corollario al contesto giocoso e scanzonato del primo o della seria e bonaria epicità del secondo: si vende appunto un universo intero di suggestioni, non soltanto un prodotto che nasce per venire consumato e di cui, di fatto, nulla resterà.

Il mondo di soddisfazione e positività collegato all’oggetto dell’advertising non può mai sparire e può essere continuamente rinnovato con un nuovo acquisto.

Tuttavia questo tipo di pubblicità nasconde una grande insidia: che nella sovrastruttura dei concetti e delle emozioni ci si dimentichi totalmente del prodotto che si vuole vendere.

A spingere infatti questo principio al suo limite concettuale (a volte persino al punto di superarlo) sono spesso le pubblicità delle compagnie telefoniche: chi si ricorda ancora le pubblicità della Omnitel, la futura Vodafone, con protagonista la bellissima Megan Gale che faceva qualsiasi cosa tranne catalizzare l’attenzione sull’oggetto dell’advertising? Per non parlare delle pubblicità della Tim con Cristian de Sica e Belen Rodriguez: a parte l’argentina vestita da poliziotta, qualcuno ricorda minimamente il contenuto di quelle pubblicità?

Lo zenit della distrazione contenutistica è stato però toccato da Aldo, Giovanni e Giacomo che per anni sono stati i testimonial della Wind: il mitico trio di comici ha messo in fila spassosissimi sketch degni delle Comiche di Stanlio ed Ollio, interpretando a ruota ogni sorta di ruolo (cantante e servitori, bagnini, condor …) in maniera eccelsa regalando delle vere e proprie perle d’umorismo che ancora oggi fanno il pieno di views su Youtube.

Tuttavia, il vero contenuto dei video (reclamizzare il piano telefonico del momento) era completamente in secondo piano, al punto che spesso non ci si faceva neppure caso.

Quanto tali pubblicità sono state effettivamente utili al business della compagnia telefonica? Probabilmente non abbastanza, dato che le pubblicità attuali Wind del testimonial Fiorello sono sì divertenti, ma non certo così brillanti come quelle del trio: tuttavia hanno il merito di ricordare sempre e in modo chiaro l’oggetto dell’advertising.

Il secondo metodo pubblicitario è ancora più complesso e difficile, ma porta risultati che sono in grado di sfidare i decenni: il product placement che si traduce nell’acquisto per imitazione.

In questo caso, incredibilmente, non si prova neppure a vendere il prodotto: viene semplicemente esposto in modo da collegarlo a qualcosa che lo spettatore ammira e che desidera emulare.

Un esempio di questo tipo di pubblicità sono i film, vere macchine di vendita indiretta: un case eclatante da portare come esempio è “Top Gun”.

Uscito nelle sale cinematografiche nella metà degli anni ’Ottanta, ne è sia lo specchio celebrativo che anche il sedimentatore dello spirito e del look.

Il giovane pilota Pete Mitchell, per tutti solo e soltanto “Maverick”, è il prototipo dell’eroe dell’epoca: coraggioso, intenso, continuamente in conflitto con le autorità e combattuto dai propri fantasmi ma capace di fare la scelta giusta, rappresenta in se stesso tutta l’esuberanza giovanile.

Oltre agli indiscutibili meriti artistici, il film si è rivelato una vera miniera per il merchandising, diventando di fatto il prototipo della pubblicità indiretta: l’attore protagonista, Tom Cruise, attore di fama mondiale dal grande carisma, che fa moda e tendenza senza alcuna difficoltà soltanto apparendo sullo schermo.

Il suo personaggio ostenta continuamente occhiali da sole Ray Ban Aviator che, nonostante all’epoca fossero passati di moda da tempo, in seguito all’uscita del film ebbero un boom pazzesco di vendite che continua ancora oggi. Per non parlare della giacca di pelle Schott che divenne assolutamente un must per i giovani dell’epoca.

E come se non bastasse, si ottenne anche un effetto clamoroso sull’arruolamento in marina, con il maggior numero di reclute dai tempi dell’affondamento di Pearl Harbor.

Tutto questo senza aver mai speso una singola parola diretta nel film a favore dell’arruolamento o dell’acquisto di nessuno dei prodotti citati: semplicemente Tom Cruise nel suo personaggio Maverick era talmente vincente e sensazionale da far desiderare di assomigliargli almeno in ciò che era possibile, quindi nel look.

Sicuramente anche il sequel uscito di recente Top Gun: Maverick non mancherà di destare le stesse suggestioni al pubblico moderno.

Quindi, come ci mostrano gli esempi appena citati, anche se sembra incredibile a dirsi, a volte è più facile vendere qualcosa se non si fa nulla per imporlo, ma ci si limita a farne apprezzare la qualità o l’estetica ... e come noi di Playstop vi diciamo sempre, il video si è ancora una volta dimostrato lo strumento più efficace per questo obbiettivo.

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